La vera crisi del debito, sostiene Michael Roberts in un post pubblicato sul suo blog thenextrecession, in questo momento riguarda gli stati del Sud del mondo. Oltre 15 mila miliardi di dollari sono stati aggiunti alla montagna del debito globale l’anno scorso, portando il totale a un nuovo massimo storico di 313 mila miliardi di dollari, rispetto ai 210 mila miliardi di dollari solo un decennio fa. Le economie emergenti e in via di sviluppo sono state le più colpite dalle precedenti crisi del debito, secondo quanto dimostra la ricerca della Banca Mondiale. Per soddisfare i pagamenti del debito, almeno 100 paesi dovranno ridurre la spesa per la salute, l’istruzione e la protezione sociale, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale. La sofferenza del debito si verifica quando un paese non è in grado di adempiere ai propri obblighi finanziari e non provvede ai rimborsi. Il FMI e la Banca Mondiale ritengono che il 60% dei paesi a basso reddito si trovi a questo punto o comunque molto prossimi a questa situazione.
Cosa si deve fare per porre fine alla sofferenza del debito per questi stati? Le agenzie internazionali esistenti e gli economisti tradizionali offrono due strategie alternative. La prima è quella di “ristrutturare” il debito. Ciò significa che i governi poveri incapaci di soddisfare gli obblighi relativi al loro debito devono negoziare con una serie di creditori come il FMI, la Banca Mondiale, altri governi, banche e titolari di obbligazioni hedge fund per far loro accettare un “taglio di capelli” su ciò che devono e / o accettare di allungare i tempi per i rimborsi e ridurre gli interessi sui prestiti. Ma non c’è cancellazione di un debito spesso paralizzante e odioso, solo rinegoziazione. E la rinegoziazione è spesso bloccata da prestatori privati che richiedono la loro libbra di carne in tempo.
Prendiamo per esempio lo Zambia. Il governo dello Zambia ha finalmente raggiunto un accordo con un comitato direttivo degli investitori per ristrutturare i suoi tre eurobond in circolazione, più di tre anni dopo il default. Due accordi iniziali sono stati respinti a novembre, una volta dal FMI e due volte dal Comitato Ufficiale dei Creditori (OCC). Non c’è cancellazione del debito. Lo Zambia deve ancora 1,35 miliardi di dollari su un’obbligazione e otterrà una piccola riduzione del valore di un’altra. Ma questo taglio di capelli è bilanciato da un programma di rimborso più ripido e difficoltoso: 498 milioni di dollari da pagare l’anno prossimo al FMI e 578 milioni ogni anno dal 2026 al 2028.
La soluzione alternativa offerta agli stati gravati da un serio debito estero è quella di tagliare la spesa pubblica e aumentare le tasse per ottenere sufficienti avanzi di bilancio per ripagare il debito: in altre parole, l’austerità fiscale.
Prendiamo per esempio la Giamaica, un piccolo stato insulare. Recentemente, la Giamaica è stata presentata dagli economisti mainstream come una grande esperienza di successo nel pagare il suo debito, infatti ha dimezzato il suo rapporto debito pubblico / PIL dal 144% nel 2012 a meno del 60% nel 2023. Ci viene detto che questo grande risultato dovrebbe essere un esempio per altri stati poveri al fine di mantenere la loro casa in ordine con bilanci “austeri” – con eccedenze molto più alte di quanto anche la Grecia sia stata costretta a presentare dopo la crisi voluta dalla Troika del 2015. Si sostiene che la piccola Giamaica (difficilmente un modello per gli altri) ha raggiunto questo miglioramento della posizione debitoria senza alcun aumento della disoccupazione. Ma anche quelli che sottoscrivono il rapporto entusiasta sulla prudenza fiscale della Giamaica hanno dovuto ammettere che la spesa per le infrastrutture è stata azzerata, cioè gli investimenti governativi costretti a scendere; così infatti si esprimono: “non abbiamo una chiara percezione del fatto che un po’ meno di consolidamento fiscale – se i fondi aggiuntivi fossero stati destinati a cose come la spesa per l’istruzione o la spesa sanitaria – avrebbe potuto dare un risultato altrettanto buono o migliore”. In realtà, come misurato dal reddito pro capite, negli ultimi dieci anni, gli standard di vita della Giamaica si sono fermati. Non è certo un manifesto per l’austerità.
Quello che Roberts non dice è che l’inflazione, processo che le banche centrali curano con l’aumento dei tassi, è provocata dalle spese militari in aumento.
Attraverso il Fondo Monetario Internazionale e le alleanze militari di cui è il centro, l’imperialismo angloamericano domina il mondo. Il debito è la religione di questo dominio, il tabù che deve essere rispettato per essere credibile. Ogni politica di sostegno, alimentare, sanitaria, scolastica, militare, si traduce in un aumento del debito dello stato che beneficia degli “aiuti”. Gli stessi piani di sostegno al debito, sponsorizzati dal FMI, non sono altro che dei meccanismi per aumentare l’indebitamento.
Ogni creditore ha bisogno di farsi rispettare dai debitori, per cui gira armato e si circonda di una banda di scagnozzi. L’imperialismo angloamericano, e soprattutto gli USA che ne sono il braccio armato, è armato fino ai denti: gli USA sono il paese che spende di più per le armi e il budget pubblico per la guerra viaggia verso i mille miliardi di dollari l’anno. Quando ci si domanda da dove viene l’inflazione, pensiamo alla quantità di dollari che è necessario stampare per sostenere un apparato del genere. Il dipartimento della difesa consuma ogni anno un mese delle entrate fiscali previste dal bilancio dell’amministrazione USA e la Federal Reserve, per tenere sotto controllo questa creazione di moneta, aumenta i tassi, aumentando di conseguenza il costo del debito privato e soprattutto quello dei cento stati più indebitati al mondo. Il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, parlando ad un forum economico, ha affermato che i tassi rimarranno alti perché l’inflazione non si decide a rallentare. È forse un caso che questo avvenga dopo che il Congresso ha approvato il più alto budget per la Difesa nella storia degli Stati Uniti?
Stupisce che Michael Roberts ignori questo legame strutturale fra inflazione e industria bellica, vista l’importanza che riserva all’economista marxista Ernest Mandel. Mandel scrive nel suo “Initiation à la théorie économique marxiste” che l’importanza del settore militare e degli armamenti nell’economia della maggior parte dei principali paesi capitalisti è la causa principale dell’inflazione permanente che caratterizza l’economia capitalista dai primi decenni del secolo scorso.
La prima causa deriva dal fatto che l’industria degli armamenti produce reddito, sia nella forma del profitto sia in quella di salario, ma non produce beni e servizi aggiuntivi, né nel settore che produce beni di consumo né in quello che produce beni di investimento. L’aumento della produzione bellica, legata alla corsa agli armamenti dei principali stati capitalistici, si traduce nell’aumento della massa monetaria in circolazione, massa monetaria che non trova un corrispettivo in beni e servizi aggiuntivi prodotti con i quali scambiarsi.
La seconda causa è legata al modo in cui i governi finanziano l’industria della guerra. In nessuno stato le spese militari sono coperte interamente dalla tassazione: l’intesa raggiunta fra i ministri dell’economia dei governi membri dell’Unione Europea sul Patto di Stabilità esclude dal calcolo del deficit le spese militari; questo da solo dimostra quanto gli investimenti nell’industria bellica aprano voragini nei conti degli stati membri. L’aumento del debito pubblico ottenuto attraverso l’emissione di titoli di stato genera un aumento della massa monetaria in circolazione, e quindi inflazione.
Uno dei problemi per i creditori è che il debitore trovi un finanziatore più conveniente. Da prima del 2020 il Fondo Monetario Internazionale mette in guardia nei confronti della Cina, un paese scarsamente indebitato verso l’estero, quindi non ricattabile, e che ha un surplus che può investire finanziando gli stati sottosviluppati a condizioni diverse da quelle del FMI; per questo nei report del Fondo la Cina è considerata soggetto che adotta pratiche scorrette. La competizione con la Cina sta rapidamente intensificandosi sul piano militare, e questo porta con sé nuove spese e nuova inflazione.
L’idea dell’“indipendenza nazionale” è un mito difficile a morire. Questa idea alimenta l’indebitamento: ogni stato moderno si basa sul debito, e il costo del debito è influenzato dalle misure contro l’inflazione. Uno stato forte è uno stato molto indebitato, perché solo indebitandosi un governo può aggirare le complesse procedure previste da ogni Parlamento per autorizzare nuove spese. La classe di governo non è la rappresentante della popolazione, ma l’agente degli interessi del capitalismo e della finanza internazionale. Che questo capitalismo agisca sotto la maschera del Fondo Monetario Internazionale o dei BRICS non cambia molto alla sostanza della cosa.
Guerra e inflazione hanno la stessa radice: l’apparato statale. Il capitalismo dà una maschera aurea ai rapporti di dominio che sono alla base della guerra: considerarne solo le cause economiche ci condanna a non comprendere i 4500 anni di guerre provocate dagli stati prima dell’affacciarsi del capitalismo moderno. Una teoria critica che rinuncia alla critica dello stato e si limita alla critica dell’economia politica si comporta come un’anatra zoppa.
Tiziano Antonelli